Catherine Bertone, la bella favola della maratona

Catherine Bertone. Un nome che vola tra le bocche dei podisti da poco tempo.

Cioè, spieghiamoci, dalle “nostre” parti tutti sappiamo chi è Catherine: quella che se c’è alla stracittadina sei fritta.

Ma niente di più.

Catherine, la podista valdostana che ritrovi alla Turin Half Marathon e ti fa un cxxo così, Catherine che “wow, ha vinto la maratona di Reggio Emilia”. Catherine con i suoi capelli corti che non lasciano spazio alla vanità, Catherine che ha un accento che a me è tanto famigliare. Catherine che “caspita è invecchiata, ma va forte eh”, Catherine che “se non ci fosse stata lei sarei arrivata terza a Vivicittà, ma che ci è venuta a fare che tanto vinceva comunque?”.

Catherine Bertone: magra magra, sorridente, occhiali da vista, capelli tagliati un po’ a caso.

Catherine, la campionessa di noi provinciali.

Catherine che per il rotto della cuffia se ne vola a Rio per le Olimpiadi.

Ne hanno parlato tutti e ne han dette di ogni: “non abbiamo più atleti forti e allora chiamano la Bertone” è forse la cosa più vera ed è triste.

La mia opinione è che siccome nè Straneo (eterna e stupenda Valeria, che però non corre una maratona intera da troppo tempo) nè tanto meno Incerti erano sicure di arrivare al traguardo, almeno al traguardo ci portiamo una bella storia, una storia che vale al di là dei minuti.

La storia di Catherine.

Catherine era certo che sarebbe comunque arrivata a quel traguardo, certo-certissimo. Un carattere come quello di Catherine, se ha davanti un traguardo olimpico lo raggiunge.

Valeria e Anna, dopo infortuni e incertezze non lo si poteva dare per scontato.

E poi, Catherine, ha l’immagine giusta, se non il physique du role: 44 anni, mamma, medico in ospedale, caparbia, semi-sconosciuta, profilo basso e carattere d’acciaio.

Dovevamo avere qualcuno da tifare e Catherine l’abbiamo tifata tutti.

Chiude i suoi 42 km in 2h33min29secondi. Venticinquesima.

Risultato strabiliante? No, non è il suo personale che è di circa 3 minuti inferiore. MA.

Ma quello che fa all’arrivo intenerisce e commuove l’Italia del running: sorride, ringrazia, balla. Catherine è al settimo cielo.

Ho guardato la maratona tifando per lei fin dall’inizio: la sola delle tre con canotta larga e non completo aderente. D’altronde ha 44 anni e a 44 anni non si porta la pancia scoperta… Così dice l’etichetta di Aosta.

Una maratona ben corsa, costante, lineare, malgrado l’umidità e il caldo a cui di sicuro non è abituata – lo conosco il tempo ad Aosta. L’aria è secca di vento e facile da respirare… A Rio no.

Come l’ho guardata io, l’ha guardata anche lei, la ragazza che sogna di correre la sua prima gara. E poi lei, la donna che si sta dicendo che è troppo in là con gli anni per cominciare. E lei, che pensa che resterà sempre una mediocre. E ancora lei, che pensa che con lavoro e figli proprio non ha tempo di correre.

Dueoretrentatrèminutiventinovesecondi.

Sorride con il suo sorriso imperfetto Catherine.

E siamo già tutti suoi fans.

MAI SMETTERE DI SOGNARE

foto: outdoorblog.it

foto: outdoorblog.it

  • faccio una postilla, ringraziando questa donna, perchè la Valle d’Aosta è la più piccola regione d’Italia: il mondo un po’ ci sfotte come montanari, un po’ ci invidia lo statuto speciale. Nessuno ci prende sul serio veramente con i nostri 100mila e qualche abitanti. Eppure due atlete olimpiche, Catherine Charlotte Bonin, vengono da queste valli. Come Ottoz, come Brunod, come Chevrier, come Chicco Pellegrino… Non amo i campanilismi perchè portano a separare e nona d unire, ma ammetto che sono orgogliosa dei nostri atleti
RunningCharlotte
RunningCharlotte
Perché la corsa è uno stile di vita e ad ogni passo ci fa crescere un po’ e perché non bisogna essere campioni per correre, basta mettere un passo dietro l’altro. Keep in running.
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Comments
  • Maddalena
    Rispondi

    Non la conoscevo, è fantastica! Detta da una che arriva due ore dopo di lei a passo pesante, come un rinoceronte.

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