StraLugano: la Paura ha fatto 93 (anzi 92 minuti e 57 secondi)

Con StraLugano si conclude la sfida con Roberto Nava di quest’anno.

Una sfida che non c’è stata in realtà, ma iniziamo dal comincio. 😉

Era dicembre e avevamo due obiettivi: la Milano Marathon e la StraLugano, 42 e 21 km, da percorrere rispettivamente in massimo 3ore e 30 minuti e massimo 90 minuti, numeri che vicini c’entrano poco diranno quelli che ne sanno di corsa. Certo, perchè se si corre la Mezza Maratona in 1 ora e 30 minuti, la maratona va corsa intorno alle 3 ore e 15 minuti, ma a noi questi numeri piacevano. Per lui forse era più sfidante la Maratona perchè con meno attitudine alle lunghe distanze, per me la velocità sulla mezza.

L’accordo era che se avessimo guadagnato minuti a Milano, li avremmo usati come bonus a Lugano (e fa anche rima).

La Milano Marathon è stata tutta mia come sfida (leggi qui il racconto), ma a Lugano ho sfidato solo me stessa, perchè il mio “partner in crime” si è infortunato.

Chi corre sa che l’infortunio fa parte del gioco e che va trattato con rispetto. Per cui Roberto ha fatto una cosa saggia a fermarsi (anche perchè abbiamo sempre un  Magraid da correre).

Io mi sono trovata sola, cosa che non mi mette ansia affatto solitamente, ma che in realtà questa volta mi ha un po’ spiazzato. Non per la sfida, ma perchè è un periodo che sola mi sento per davvero, uno di quei periodi che non riesci ad addomesticare.

Vi è mai capitato di percorrere una parte di strada della vita e di pensare costantemente che tutto succedesse troppo in fretta? Io sto vivendo giorni in cui tutto accade e niente sembra accadere per davvero. In cui tutto cambia, ad una velocità che non vuole essere la mia.

Un periodo di quelli tosti in cui la corsa da sempre e per sempre serve per farti uscire.

Un periodo in cui mi sento “lasciata sola”.

Eppure, sono questi i giorni in cui devi avere più grinta, in cui devi aprirti come un cancello e far fluire la vita, senza mai opporti alla corrente.

Piegandoti un po’, osservando il fiume dalla sponda.

Sapevo già da un mese che non avrei fatto quei 90 minuti, non li avevo nelle gambe e la maratona mi aveva lasciata stanca. La mattina della gara ho preso consapevolezza che non avrei probabilmente mai nemmeno fatto 91 minuti: il caldo era già impietoso alle 9:00, all’ora della partenza sarebbe stato soffocante.

Puntuale alle 10:00 la gara parte e corro con la “cattiveria” dentro. Sola.

Non una cattiveria di quelle ombrose, piuttosto una grinta interiore, una voglia di lasciare indietro questo sentirsi di troppo che mi perseguita da un po’ di mesi.

Sto vivendo una vita da terzo incomodo, una vita in surplus, una vita di altri. Un compromesso che la sera mi fa sentire lasciata in disparte, come se il padrone dei miei sentimenti chiudesse l’ufficio alle 17:30 per riaprirlo la mattina e io rimanessi alla scrivania ad aspettare la luce.

E io, quella luce, la voglio e ne ho sete. Sete, tanta sete.

Parto forte, troppo forte.

Lascio che l’energia mi scorra dentro, dai piedi al petto. Apro le spalle e corro in avanti. Continuo ad avere sete di luce, sete di uscire da quell’ufficio dopo l’orario prestabilito e andare in giro.

Il caldo mi stronca le gambe. E all’ottavo chilometro penso che nemmeno la luce basti a calmarmi. 

I ristori, frequenti, mi colgono impreparata. Se devo fare un appunto alla gara, la Svizzera ecosostenibile dovrebbe trovare un’alternativa poco inquinante alle bottigliette di plastica che non siano i bicchieri di carta. Afferro i bicchieri, grandi e molli e non riesco a bere a sufficienza. mai, neanche ad un ristoro.

Provo la tattica più difficile in questa casi: sorrido.

Ma non sorrido fuori, sorrido dentro.

Guardo la città e gli altri runners, tutti stanchi quanto me. Al secondo giro, al 15 esimo chilometro sento arrivare Sara Dossena in uno strepitoso 1:10:38 che la conferma grande atleta quale è, e mi viene più facile sorridere a me stessa.

Mi sento stanca come dopo una maratona, accaldata e bruciante.

Arrivo alla fine pensando di svenire, senza velleità di battere il mio personale, ma grata per la luce che ho visto al di là della porta.

1 ora 32 minuti e 57 secondi

Non male direi. Diciottesima donna.

Felice guardo chi mi aspetta e sorrido. Mi sciolgo in una gioia che non ha lacrime. Voglio solo stare bene.

Come possono capire gli altri questo desiderio di stare bene che ho? Voglio solo stare bene. Voglio sentire di nuovo l’energia che scorre dentro come un’onda che lava via il resto.

Non voglio più restare sola, mai, non voglio più andare in castigo alle 17:30 aspettando la mattina.

Voglio vivere.

E correre.

Al ritorno in autogrill incontro René Cuneaz. Un ciao veloce, un sorriso.

E no, non sono sola.

E non sono un terzo incomodo.

Grazie StraLugano, ci vediamo l’anno prossimo (magari per correre la sera, che ne dite?)

RunningCharlotte
RunningCharlotte
Perché la corsa è uno stile di vita e ad ogni passo ci fa crescere un po’ e perché non bisogna essere campioni per correre, basta mettere un passo dietro l’altro. Keep in running.
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