Milano 21 Half Marathon: arrivederci gare su strada

L’ultima gara della stagione podistica ha sempre un fascino strano. Alle volte è la più importante, altre volte no, ma è sempre un momento particolare.

In questo caso la Milano 21 Half Marathon per me è stata una gara sentita, ma non sapevo come prenderla. 
Nel 2017 su questo bel percorso ottenni un inaspettato PB di 1h30’14”, ma venivo da una stagione corta e dedicata ai 21 chilometri, che mi aveva velocizzata senza caricarmi troppo.

Quest’anno il mio obiettivo principale è stata la Berlin Marathon del 16 settembre e, devo ammettere, che dopo quel risultato tanto desiderato ho battuto un po’ la fiacca.
Dopo la preparazione – nel mio caso impegnativa – di una 42km ci sono sempre due scuole di pensiero: chi, preso dall’euforia maratonesca, decide di spingere ancora il piede sull’acceleratore e chi, come me, si prende del tempo per metabolizzare il risultato.

Sono dell’idea che il recupero faccia parte dell’allenamento.

Benchè ami visceralmente le gare su strada, penso che dopo quattro mesi di fatiche, coronate dal risultato sperato,  il corpo e la mente debbano “svaccare” (termine tecnico che metaforicamente richiama l’immagine di una mucca sdraiata sull’erba di un alpeggio).

In un mese ho preso quattro chili in aperitivi con amici che ho trascurato pre-maratona, ho dimezzato le ripetute, mi sono concessa lunghe corse collinari ritmo “a caso”. A ottobre ho corso la Turin Half Marathon senza grandi risultati e la RunRivieraRun sotto il diluvio.
A novembre ho rispolverato le gambe con un minimo – molto minimo – di qualità, mi sono messa a dieta e ho inserito un po’ di cross training.

Dopo Berlino, però, mi manca quella grinta competitiva di sempre.

Le gambe abbastanza riposate mi facevano sperare in un risultato all’altezza di questa gara veloce e scorrevole, ma la testa non era delle più tenaci.

Ammetto che sono partita senza farmi troppe illusioni, ma in realtà non avevo nessun motivo fisico per non andare bene.

Si sa, però, che ai miei livelli tapascioneschi, dove il corpo non arriva, è la testa che fa il risultato e quando la testa manca i muscoli non bastano.

La Milano21HalfMarathon è una grande gara.

Alla partenza, quest’anno spostata al nuovissimo CityLife per garantire flussi scorrevoli e sicurezza al top, eravamo in 7.000.

L’organizzazione – che evidentemente mi vuole bene – mi ha messa in prima griglia. Il clima, fresco senza essere glaciale, era perfetto.
I primi tre chilometri volano lungo strade deserte e piatte. Sto bene, mi sento bene. Quando incontro il mio amico Andrea le mie gambe hanno ancora voglia di combattere.
Intorno al quinto chilometro sono con i palloncini dell’ora e mezza, che vanno veloci, forse un po’ troppo, ma mi sento ancora brillante.

Poi inizio a mollare.

All’ottavo la testa inizia a girare, insieme con i primi pensieri negativi. Siamo quasi a Porta Venezia, la partenza della mia Maratona preferita, quella di Milano (mi spiace per coloro che considerano Milano grigia, ma per me resta la più bella in Italia).

Giriamo sulla circolare e mi concentro sui piedi dei ragazzi di fronte.
Bevo qualcosa al ristoro del decimo, prendo una boccata di gel SIS dal banchetto – che fortuna, sono quelli che prendo di solito, ma il mio di stamattina era bucato e non era più buono – e mi sento meglio.

Ho impostato il mio nuovo Polar Vantage V sulla schermata della “Potenza”, una novità in campo orologi da running. Volevo provare a correre senza guardare il tempo, ma monitorando battiti e KWatt.

Vedo che il cuore non va tanto in alto e la potenza media cala lentamente. Eppure mi sento stanca come se fossi in soglia, come se l’acido lattico mi inchiodasse i muscoli. Le pulsazioni non raggiungono 140 bpm e di tanto in tanto sfiorano i 120 bpm, eppure sono affaticata.

Non riesco a spingere, il mio organismo si rifiuta di andare oltre.

E’ come se non mi ubbidisse più. So che potrei andare più forte. Potrei alzare i battiti fino a 165 bpm, riportare la potenza sopra i 300KW, filare di nuovo a 4’15” al km e portare a casa un risultato simile al 2017.

Lo potrei fare, ma non lo faccio.

Mi ascolto e decido di non farmi del male. Il mio organismo è stanco e mi sta dicendo basta. Così rallento e mi rilasso. Lascio che il cuore si stabilizzi e che le gambe tornino ad un movimento fluido.

In Piazza Duomo, intorno al dodicesimo, alzo lo sguardo e vedo Milano, bellissima, fredda nell’aria di novembre. In Piazza San Babila corro serena, fino a che un cafone non mi urla “Vai Cosciona!”.

Lo sta dicendo a me, non ho dubbi. Sono la sola donna insieme alla ragazza di fianco, che è secca secca. Mi giro, lo guardo e lo mando sonoramente a farsi benedire. Il primo istinto è quello di tornare indietro e schiaffeggiarlo. Il 25 novembre è la giornata contro la violenza sulle donne e quello è un troglodita. Poi ci pensano gli altri podisti di fianco a me. Un “vaff…” collettivo si alza tra gli affanni dei podisti. Ma che ne sa chi non corre, in fondo, di quanto è bello condividere questa fatica?
Non ci ho più pensato e ho continuato a correre.

Al quindicesimo la testa mi gira così forte che penso di fermarmi un secondo, ma non lo faccio..
Questa gara è troppo bella per fermarsi e, quindi, ho focalizzato l’attenzione sul mio mantra:

Io non so fare tante cose, ma sono certa di saper correre. Correre è ciò che amo fare e quindi non posso fermarmi mentre sto facendo ciò che più mi appassiona.

Incrocio Annamaria, una delle “mie” Principesse. Sono venute in cinque con me oggi. Sta correndo benissimo e sono orgogliosa di lei.
Al diciassettesimo so che oramai è finita e cerco di non pensare al crono.

So che non chiuderò in un tempo magnifico e mi dispiace. Non riesco del tutto a sentirmi soddisfatta, ma so anche che ho fatto una bella gara e che, soprattutto non mi sono arresa.
Ripenso ad una frase di Frida Kahlo

“Non vince chi vince sempre, ma chi non si arrende mai”

Compaiono sullo sfondo le torri del CityLife. Vedo il traguardo. Alzo le braccia ed esulto.

Sono stravolta. Mi gira la testa e ho nausea.

Ho chiuso gara e stagione con 1h34’27”. Un tempo mediocre per me.

Ma sono felice. Di esserci, di aver finito, delle persone che ho intorno. La ragazza che ha corso di fianco a me mi ringrazia e io contraccambio. Ci siamo seguite con lo sguardo per gli ultimi cinque chilometri aiutandoci. Vedo il mio amico Andrea che ha fatto una bella gara.
Mi danno la mia medaglia. Sorrido.

Alla spicciolata arrivano le altre ragazze. Valentina e Annamaria sono raggianti, hanno chiuso in tempi spettacolari. Paola, che ha corso la 10 chilometri, sorride, già cambiata. Barbara ha corso forte e va via presto per tornare dai suoi bellissimi cinque figli. Francesca è con la sua amica Laura e so che arriverà con calma.
Incontro dopo un anno il mio amico Gionata. Che bella persona che è Gionata, tutto Puglia e corsa.

Ha vinto la gara René Cuneaz, il mio concittadino aostano che esce da un infortunio di inizio anno. Vado a fargli i complimenti.

E’ una bellissima giornata e mi aspetta una domenica con i fiocchi.

Ciao gare su strada, con oggi inizia il mio scarico. Ho chiuso con 21km sofferti e bellissimi, ma ora è epoca di riposare.

RunningCharlotte
RunningCharlotte
Perché la corsa è uno stile di vita e ad ogni passo ci fa crescere un po’ e perché non bisogna essere campioni per correre, basta mettere un passo dietro l’altro. Keep in running.
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