Chianti Trail Ultra, dove ci sono delle vigne corro più forte?

Io amo le colline, le colline mi rilassano, mi ricordano che il mondo è leggero e bellissimo, che la natura continua il suo corso qualsiasi cosa accada, che il sole all’alba ha un profumo umido di terra.

Ecco perchè amo le gare in collina. Dalla 4 Colli del Monferrato, alle corse sui sentieri Torinesi.

Se di collina si parla in Italia, la regina delle immagini restano i colli del Chianti.

La parola “Chianti” da sola evoca in gran parte del mondo il concetto di vita rilassata. Chianti è sinonimo di campi ben arati, di cene sotto al pergolato con gli amici, di viali con i cipressi ordinati. Il Chianti, io lo sogno da quando da ragazzina ho visto Io ballo da sola di Bertolucci, lo amo da quanto ho riso a vedere il Ciclone di Pieraccioni.

Il Chianti era uno di quei luoghi che desideravo correre da tanto.

Per questo il 2019, vista la preparazione del #TrailRunningCoaching di Fulvio Massa per la UMB Ushuaia, è stata l’occasione perfetta.

Per questo ho corso con entusiasmo la Chianti Trail Ultra 37km.

Chianti Trail Ultra

Nel Chianti si corrono molte gare, in tutta la Toscana a dire la verità. I sentieri di queste colline si prestano a lunghe corse e a gare dai tracciati corribili e muscolari.

La Chianti Trail Ultra, alla sua seconda edizione, presenta tre possibili scelte: la 73km per gli amanti del lunghissimo, la 37km, che ho corso io, per i maratoneti imprestati al sentiero e la 15km per tutti.

Il percorso presentava diversi saliscendi, per un totale di circa 1200 m di dislivello positivo su 37 km, rappresentati al 70% da strade bianche e dal restante di bosco fresco e leggero.

Un dislivello accettabile per molti, pendenze affrontabili da tutti, poche difficoltà tecniche.

Siamo partiti alle 8 del mattino, dalla piazza di Radda in Chianti, sotto il sole che iniziava a scaldare la pelle.

Sono partita avanti, come le solite immanicate, senza meriti e senza diritti reali, vestita di rosso in pendant con il gonfiabile dello sponsor – mio e della gara – New Balance.

Non amo partire avanti per un motivo semplice: mi superano tutti.

Io, infatti, soprattutto quando non conosco perfettamente i percorsi, sto “cisti”, come dicono i ragazzi torinesi della mia epoca: sto attenta. Io nel trail parto al risparmio, sempre. Ammetto che è difficile, difficilissimo, direi. Tengo sempre d’occhio le possibili avversarie e le vedo che mi superano. Mi superano sempre, anzi, mi faccio superare.

La verità è che per i primi chilometri non so mai esattamente che strategia attuare.

La fisso in testa prima di partire, poi però le variabili del trail running mi costringono a cambiarla, poi cambiarla di nuovo, e poi ancora.

Fatto sta che questa partenza era in discesa e io in discesa sono pessima, per cui mi sono messa da parte e ho guardato le altre passare.

La cosa più difficile è tenersi. Fare la propria gara senza lasciarsi influenzare.

Se in una gara su strada so esattamente che strategia attuare, so dove posso tirare la corda e quanto, conosco le mie potenzialità e intuisco quelle degli altri, nel trail tutte queste elucubrazioni sono inutili.

Quando la discesa ha lasciato spazio alla salita dolce, dopo un paio di chilometri, ho iniziato a far girare il motore. Passo corto e costante, testa china e spingere, allungando il passo in discesa, riprendendo elasticità in piano.

Per dieci chilometri dalla bellezza incantevole, tra vigne e casali dei muri in pietra, ho fatto il mio gioco, riprendendo lentamente chi iniziava a rallentare sulle pendenze più rigide.

Al primo ristoro mi sono fermata con calma, senza strafare: avevo ancora 27 chilometri davanti, mi sembrava stupido affrettarmi già ora. Chi avevo superato, qui mi ha ripresa ed è passato.

Penso, magari a torto, che nei trail il ristoro sia fondamentale. Su questa distanza ce n’erano solo tre e è troppo alto il rischio di patire più avanti per tralasciare di bere. E poi, devo dirvelo, io mi sono imposta di salutare e ringraziare tutti i volontari sul percorso. In una maratona sarebbe impossibile, ma qui, tra sentieri e campi, mi sembra cortesia. Come quando si cammina in montagna. 

Ho bevuto del the caldo, mangiato qualche uvetta e salutato e ringraziato le signore al ristoro. Così sono ripartita serena e rilassata.

Mentalmente avevo diviso la gara in quattro: i primi 10km per scaldarmi e far girare le gambe, i successivi 20 per provare a giocare con i ritmi, dal ventesimo al trentesimo per riprendere chi non ne poteva più e gli ultimi sette per stringere i denti e mettercela tutta.

Per questo ho corso i successivi dieci chilometri facendo del mio meglio. Di fianco a me i primi segni di stanchezza negli altri concorrenti. Una discesa tecnica che ha infastidito la mia caviglia e qualche traverso un po’ fangoso, ma il tutto ripagato da una natura lavorata e bellissima.

Al ventesimo chilometro il secondo ristoro e mi ritrovo con qualche ragazza che mi aveva superato. Ci salutiamo, mi piace il loro spirito. Loro sono di quelle che scendono forte, ma ora le vedo affaticate. Sto con loro il tempo di qualche battuta, sono giovani e simpatiche. Bello!

Piano piano riprendo un altro paio di concorrenti, visibilmente affaticate. Verso il ventisettesimo riprendo anche una bella ragazza con una lunga treccia bionda. Mi spiace quasi perchè so che ha perso una manciata di secondi per una deviazione non voluta, ma poi guardo indietro e la vedo che cammina.

Al trentesimo chilometro ritorniamo sulle strade bianche. Le gambe mi fanno male, non le alzo facilmente. Ad un certo punto, non so nemmeno io come, cado. Cado senza inciamparmi, solo perchè non alzo abbastanza il piede destro. Per fortuna i booster (grazie BV Sport) mi riparano dalle pietre.

Mi rialzo e decido di non penare al dolore e corro. Supero un paio di uomini che arrancano sulla salita. Mi dicono che sono terza e mi emoziono.

Al ristoro non cedo alla tentazione di non fermarmi e mi fermo un secondo. La villa dove c’è il terzo ristoro è “magistrale”, di una bellezza da telenovela.

Ogni volta che vedo queste tenute immense penso “ma chi cavolo è il fortunato che ci abita?”.

Passo oltre correndo leggera su una lieve discesa. Ho guardato l’altimetria e so che mi aspettano sei chilometri con due belle salite.

Spero, in quel momento, che il mio GPS sbagli come alle volte nei trail accade e si sia mangiato un chilometrino.

Le gambe bruciano, la testa gira per il caldo.

Sono stravolta e mancano quegli ultimi chilometri.

Allora inizio a parlarmi. Lo faccio spesso, parlo con me.

A chi chiede come si superano i momenti di crisi, rispondo così: ascoltarsi e parlarsi. Ho iniziato a dire alle gambe di tacere e funzionare, di non badare al dolore. Ho parlato con la mia caviglia, cercando di minimizzare il male che ogni tanto sentivo sulle zone pietrose. Alla prima salita vedo una ragazza. A questo punto intorno a me tanti camminatori della 15km, ma so che lei sta correndo, quindi lei è la seconda. Cammina.

La supero, stringo i denti e corro. Corro per un paio di chilometri senza girarmi, senza guardare se fosse ancora lì.

Ero seconda, secondo i calcoli e mancavano altri due chilometri, di cui la maggior parte in salita. Io vado bene in salita, Fulvio mi ha ammazzata di salite al Musinè, cosa vuoi che siano queste dolci colline al confronto?

Sto morendo di caldo. A Ushuaia farà freddo, credo. Entro, finalmente, a Radda in Chianti.

Vedo Massimo, che mi aspetta e mi incita. Non mi dice nulla sulla mia posizione e il mio entusiasmo si smorza: fossi veramente seconda me lo direbbe, no?

Gli ultimi giri nel paese sono mortali, non penso a nulla, voglio solo arrivare.

E arrivo. Alzo le braccia e arrivo. Lo speaker dice con allegria:

“Carlotta Federica Montanera! Sta arrivando la seconda donna!”

Epilogo

Sono arrivata sul secondo gradino del podio di un trail. Io. Io che sogno la maratona, io che amo l’asfalto. Alle volte, credo, che sia la testa a farci fare buoni risultati, otlre all’allenamento.

L’allenamento c’è stato, certo. Fulvio e Simona mi hanno abbastanza tartassata con gli allenamenti e non ho mai mollato. Mi sono messa a dieta, ho perso tre chili – pochi forse – ho fatto sacrifici. Ma, soprattutto, ho imparato ad aspettare.

In questa gara ho quasi sempre aspettato. Ho aspettato a far fatica, ho accettato di essere superata, ho aspettato  il momento per aprire il gas, ho aspettato l’arrivo con tenacia. Ho aspettato, con fiducia e testa.

Cosa mi ha insegnato il trail?

Che dove il corpo non sai se arriva, l’unica certezza che puoi avere è la tua testa.

E ora: UTMB Ushuaia

 

RunningCharlotte
RunningCharlotte
Perché la corsa è uno stile di vita e ad ogni passo ci fa crescere un po’ e perché non bisogna essere campioni per correre, basta mettere un passo dietro l’altro. Keep in running.
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