Correre post quarantena: riflessioni e dubbi

La quarantena è terminata da un mese e mezzo.

Stamattina, erano le sette, al parco ho incontrato un amico, uno che di corsa ne sa più della maggior parte di noi. Stavo facendo il terzo 400, mi ha incitata e poi nel recupero mi ha fatto quella domanda, quella fastidiosa:

“Come va, hai ripreso dopo la quarantena?”

Per fortuna la scusa dei 400 lattacidi era valida e ho potuto pensarci un attimo, vinta dal vomito e dall’acido lattico.

“Come va, Nicola, non ho voglia. A me piacciono le cose lunghe, le maratone, la fatica verso il traguardo, in solitaria. E invece sono qui, dalle sei del mattino a cercare la fatica dove ho sempre trovato solo difficoltà, le ripetute brevi”.

A onor del vero sono stata meno prolissa, ma tanto la faccia di Nicola era chiara. Diceva solo “ma va, dai”.

Me lo dico anche io, ogni mattina che cerco di catapultarmi giù dal letto: “ma va, dai”.

Io, della corsa, ho fatto uno stile di vita. Io, per la corsa, ho rinunciato praticamente a tutto (e ho trovato molto altro).

In questo casino del virus ho cercato la motivazione e l’ho anche trovata (leggi i miei articoli sulla motivazione durante la quarantena)

Oggi mi trovo, per la prima volta, demotivata. Demotivata.

Il clima del running post quarantena: in molti casi una delusione

Per me la corsa ha sempre svelato la versione migliore delle persone problematiche. Nella corsa ognuno di noi butta il sacchetto dell’umido del proprio io, quello marcescente e puzzone, per farne concime e vita. Per me è sempre stato così, almeno. E per molte delle persone che conosco. La corsa ha sempre rappresentato il composter di ogni nostro malumore e ogni nostra tristezza restituendoci terreno fertile per nuove speranze.

In questi mesi di quarantena (e anche dopo) non ho visto un composter, ma un cassonetto di rifiuti tossici. Da chi si lamenta, a chi insulta, a chi fa della corsa il vessillo per qualche sua personale crociata dalla violenza inutile. Dal podista attempato che non comprende perchè rinunciare alle gare, all’opinionista ostile a tutto e tutti.

Ci sono giorni che spero ardentemente di uscire al parco e non vedere nessuno. Nè chi mi insulta per farmi mettere una mascherina che la legge non mi chiede, per il puro gusto di sbraitare e odiare, a chi si lamenta per l’assenza della corsa dell’asparago, tanto apprezzata per i premi in natura.

Inutile mentire, ho la stessa voglia di ascoltare queste parole di quando devo andare dal commercialista. Insomma, se posso evito fino all’ultimo.

Le virtual race

So bene che le gare virtuali aiutano da una parte le associazioni e dall’altra l’indotto della corsa, ma mi fanno venire la pecola.

Io amo le gare, amo tutto quello che gira intorno ad una gara, ma se devo stamparmi un finto pettorale, partecipare ad una finta classifica, correre su un finto percorso con finti ristori per sentirmi motivata, beh, che dire… anche no. Mi hanno scritto diverse associazioni per ottimi ed encomiabili scopi e io ho rifiutato. Sempre.

Parliamoci chiaro: se devo fare beneficenza, non aspetto una gara. Scelgo un motivo che ritengo valido e faccio beneficenza. E chisseneimporta della gara. Ricevere una medaglia di partecipazione per una gara che non si è tenuta come incentivo a fare del bene è come dire che per andare a donare il sangue uno deve aspettare di ricevere i cerotti commemorativi per il foro dell’ago (che normalmente sparisce in qualche decina di minuti).

E no, non mi sento motivata a far meglio se vengo inserita in una classifica nella quale vengo misurata a suon di Strava.

Buon per chi invece le ama, ma per me non hanno nessun fascino. Anzi.

I tempi e i chilometri

Chi segue un minimo ciò che faccio sa bene che io ADORO misurarmi con tempi e distanze. Quando tutto ciò è iniziato correvo più di 100km alla settimana e misuravo ogni parametro della mia corsa. Ebbene, oggi lo schermo del mio nuovissimo Polar Grit X mi dice dei numeri, ma il mio interesse è molto più orientato a capire come dormo. E a progettare la prossima avventura.

Corro la metà di prima.

Chiamo le cose con il loro nome: fuori forma. E non cerco nessuna giustificazione nei numeri.

Il futuro

Pegasus 37

Onestamente non lo so. Ne sto parlando con il coach, ma non so che pesci pigliare.

Sono stanca senza aver fatto quasi nulla, la maratona è lontana dalle idee. Ho un minimo appiglio: migliorare in ciò che non so fare.

Non so fare due cose: correre forte sulle distanze brevi e prendermi cura del mio lato femminile.

Questo sarà il mio futuro, condito con qualche piccolo sogno.

RunningCharlotte
RunningCharlotte
Perché la corsa è uno stile di vita e ad ogni passo ci fa crescere un po’ e perché non bisogna essere campioni per correre, basta mettere un passo dietro l’altro. Keep in running.
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Comments
  • Denis
    Rispondi

    Un po mi consola leggere le tue parole,perché anche se in modo diverso il risultato di questa quarantena è lo stesso anche per me. Corro da più di dodici anni fra alti e bassi e qualche acciacco, ma sempre con piacere. Ho fatto il bravo e ho smesso inptomindo marzo e ho ripreso a maggio per rispetto e tutto il resto. Mi era già capitato di dover sospendere qualche settimana e quindi fisicamente si come fare. Fattonsta che in questi due mese la parola che mi viene in mente per descrivere le mie uscite è “arrancare” salvo qoalce eccezione mi sono ritrovato più volte a mollare (casa mai capitata prima) anche su brevi tratti arrivo camminando, non per stanchezza, ma solo perché la testa non mi dice più di resistere di non mollare. Spero che passi in fretta.
    Ciao e grazie come sempre.

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