Desert Days: a tu per tu con Katia Figini, la donna dei deserti

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Un po’ di tempo fa vi avevo detto che avrei partecipato ad un “convegno” (che termine obsoleto) sulla corsa nei deserti, il Desert Day.

Cosa c’entro io? Niente, a parte nel termine “corsa”… Mai corso in un deserto se non parliamo di brevi tratti di montagna. Eppure Lorenzo, l’organizzatore, ha voluto me come co-relatrice, proprio perchè non essendo strettamente connessa a questo mondo di “matti” avrei potuto avvicinare il mondo “desert” al running.

Fatto sta che mi sono sentita lusingata e sono partita.

La prima conferenza è stata con un’ospite donna: Katia Figini.

Conoscete?

Io la conoscevo grazie ad una breve lettura su Correre sulla sua vittoria nell’ultra dell’Oman (non so quanti km in uno dei deserti più caldi del mondo) e mi piaceva. Mi piaceva perchè mi pareva proprio una donna con le palle. Poi leggendo il suo sito sono capitata su un suo progetto a dir la verità un po’ obsoleto (parliamo del 2010), che consisteva nell’attraversare 5 deserti mondiali per comporre in modo figurato la parola W-O-M-E-N, una lettera per ogni deserto.

Un progetto che mi ha affascinato perchè nel 2010 non si faceva questo parlare fin esagerato di violenza sulle donne (non prendete male le mie parole, la violenza sulle donne esiste eccome e va combattuta, ma troppo spesso vedo progetti vuoti utili solo a riempirsi la bocca e l’animo di parole vacue).

Nel 2010 Katia si inventa RUN FOR WOMEN  e parte. 5 deserti in un anno. Senza tirarsela, senza troppa scena, senza fare “cinema” come avrebbe detto mia nonna. Katia parte. E il messaggio passa POTENTE. Io nel 2010 non avevo nemmeno mai corso una maratona eppure l’avevo vista questa donna piccolina, questa “matta” che correva correva per un ideale.

Guardatevi il video di presentazione e sorridete di tanta freschezza:

Katia è piccola, microscopica, alta come me e magra il doppio.

Sorride, sempre.

Le faccio qualche domanda, ingenua, come probabilmente ci si aspetta da me.

Mi interessa capire come ci si sente a fare un’IMPRESA.

Lei nicchia un po’, poi chiacchiera. In realtà il filo conduttore di questa intervista non è chiarissimo nè lineare. Semplicemente chiacchieriamo come le donne chiacchierano.

Non esce nemmeno una volta una qualche parola che possa essere in qualche modo considerata femminista. Katia parla di sè e delle donne con estrema naturalezza, senza forse porsi troppo il problema.

Lei parte e va.

Parliamo anche dei suoi progetti attuali, ovviamente.

Katia allena ragazzi e adulti e li segue nella preparazione, anche (ovviamente) nella corsa nei deserti. Fa la “Personal Trainer” anche online (guarda qui la sua offerta) e al momento credo che questo sia il suo “lavoro”.

Le chiedo qualcosa di più, non perchè mi interessi sapere “come” allena, ma mi interessa capire come ragiona chi decide di fare un deserto.

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Sostanzialmente mi dice quello che penso. Ci sono dei clienti che lei chiama FAI E DISFA, che vanno da lei con l’idea di fare l’impresa. Vanno la prima volta, pagano e poi non li vedi più appena scoprono che il deserto, come tutto il resto, va preso sul serio. e poi ci sono tutti gli altri, che si affidano, si allenano e ci provano.

Conferma che l’ultra trail, il deserto e tutto ciò che è in qualche modo “eroico” è di questi tempi “alla moda”. Dice che alle gare vede andare tantissima gente impreparata, che un giorno si alza, fino ad allora aveva corso 10 km e poi decide di affrontare una corsa da 200km a tappe.

Io ho sentito troppo spesso gente dirmi: ho iniziato a correre perchè voglio fare il Tor des Geants. Per carità, io non giudico nessuno, ma forse è un po’ troppo di moda sentirsi eroi…

Ecco, Katia non ha proprio la faccia di una così, è solo un a che un giorno, stufa di nuotare in psicina, apre un libro, vede il deserto, e decide che fa per lei. E ci lavoro per tutti i restanti anni fino ad oggi.

Ultima domanda: Katia, ma hai fatto una maratona… com’è andata?

Così scopriamo che la strada la affascina e la maratona anche. Fa la maratona di Santhià (io non sapevo nemmeno che esistesse), la vince con un tempo mediocre di 2h57 (giusto perchè non c’era la sua amica e compagna di allenamenti Valeria Straneo ndr) e… non viene premiata.

Perchè?

Un’altra di quelle beghe da associazioni che mi fanno venire l’orticaria: essendo una gara FIDAL, il regolamento FIDAL prevede l’iscrizione di atleti di altra tessera (in questo caso UISP, l’associazione a cui sono iscritti gran parte dei trailer) solo come NON COMPETITIVI. Per cui Katia vince, ma a tutti gli effetti non compete.

Quando succedono queste cose mi viene quasi voglia di andare a correre da sola in un deserto…

Ma credo che prima chiederò consiglio a Katia 🙂

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