La Maratoneta: parlando di 42km con Catherine Bertone

Appuntamento all’area verde di Gressan, Aosta. Ci venivo da ragazzina a giocare a tennis, poi a correre su questa pista di asfalto di 1km preciso.

Io arrivo accaldata da Torino, lei porta sua figlia ad allenamento.

Due donne, io e Catherine. Due maratonete. Solo che lei sta andando agli Europei a Berlino. Io no.

Catherine Bertone è stata una delle rivelazioni podistiche del 2016, da quando, dopo contrasti e polemiche, la dottoressa valdostana di 44 anni è partita al via della Maratona Olimpica di Rio.

Arriva abbronzata, in short e taglio di capelli corto. Per mano la figlia, dotata di codini e completino da corsa.

Io mi emoziono sempre a vederla, mi emoziono perchè mi sembra una cosa magnifica che ci siano donne così che varcano la soglia dell’albo olimpico. Mi emoziono perchè è così vicina, non solo fisicamente, ma in tutto. Una donna vera, una mamma, una dottoressa, una che si sbatte tra le capriole della vita come tutte noi. Una donna che ha figli da accudire, lavoro da gestire, una famiglia a cui pensare. Una Donna.

Sono un po’ imbarazzata perchè penso che di interviste in questi due anni gliene abbiano fatte tante, professionali e preparate.

Io voglio solo parlare di lei, ho delle domande scritte, ma mi interessano poco, non so se è un’intervista, la mia. Diciamo che è una chiacchierata.

Sono curiosa di scoprire cosa c’è in quei 47 kg di muscoli e pelle e cuore.

E inizio diretta sul lavoro. La professione medica da sempre mi affascina, vuoi che papà è medico, vuoi che mi pare una cosa magnifica che degli uomini possano guarire degli altri uomini. Una magia che solo un cuore grande può creare.

Come hai scelto questa professione, il medico?

Ho sempre voluto curare le persone, fin dalle scuole medie. Solo non sapevo se fare il medico o l’infermiera. Poi ho visto che studiare mi riusciva bene e mi sono scritta a medicina.

Studiare medicina è durissimo, ho dato un’infinità di esami. Mentre gli amici uscivano, io studiavo sempre e per sfogare correvo. Non come da ragazzina, ma 40 minuti me li concedevo.

Non ho mai smesso di desiderare di essere un medico. Volevo andare in Africa, all’inizio, e curare tutte quelle persone con malattie difficili da debellare. Per questo ho scelto la specialità in infettivologia.

Quindi sei un infettivologo!

Si, sono infettivologo, ma lavoro in pediatria. Sono turnista in pronto soccorso pediatrico, faccio volentieri le notti. Mi piace molto lavorare in equipe, ma prediligo l’ordine delle notti in ospedale, non mi pesano. Entro alle 20 ed esco alle 8 del mattino successivo, così mi rimane il giorno, anche per allenarmi. In questo modo riesco anche a passare del tempo con le mie figlie.

Da ragazza, dopo la laurea ho fatto ricerca a Parigi sull’HIV pediatrico. Mi sono ritrovata a contatto con tanti brutti mali in bambini così piccoli che forse ora non riuscirei a tollerare tutto quel dolore. Forse è per questo motivo che alcuni pensano che sia un’oncologa pediatrica. Mi trovavo a preparare le chemio per questi piccoli cuccioli di umano. Proprio lì a Parigi ho ricominciato a correre con più costanza. In questo modo riuscivo a scaricare la tensione e il dolore che certe verità ti mostrano con troppa chiarezza. Ho trovate anche un gruppo con cui andare alle gare nei paesi vicino, mi faceva bene. Correre mi ha sempre permesso di mettere in ordine le idee.

Pensi mai al lavoro mentre corri?

Sì, certamente. Ovvio, non durante i lavori di ripetute, lì non penso a nulla e stacco il cervello, ma nei fondi lenti il lavoro occupa gran parte dei miei pensieri. Uso quei momenti per dare ordine alle idee, per organizzare la giornata. Sono una persona molto organizzata, ho uno schema mentale ben preciso.

Pensa che quando preparavo le Olimpiadi, per fare i lunghi andavo a Verrès (circa 30 km a est di Aosta) con il treno delle 8:30. Lì un mio amico, un signore anziano, mi veniva a prendere in stazione. Mi cambiavo a casa sua, correvo accompagnata da lui in bici, ritornavo a casa del mio amico dove sua moglie mi preparava il pranzo e alle 13:30 ero in ospedale ad Aosta. Un’organizzazione perfetta! (il mio pensiero va direttamente a tutti coloro che non riescono a trovare il tempo, che dicono di non trovare il tempo)

Tu infatti ti alleni da sola, hai una vita molto diversa dalle tue colleghe maratonete. Non ti piacerebbe far parte di un corpo militare e poterti dedicare in toto alla corsa?

A me piace il mio lavoro e amo la mia famiglia. Se ora dovessi dedicarmi al 100% alla corsa, significherebbe abbandonare un mestiere che ho desiderato fare da sempre e trascurare la mia famiglia. E poi, finita l’era da atleta, dovrei fare il militare, entrare nell’esercito o nella forestale. Io voglio fare il medico. Preferisco ritagliare il tempo e organizzarmi meticolosamente, senza però rinunciare ad accompagnare i miei figli alle loro attività, nè al mio lavoro. Vedi, oggi non fossi in scarico, sarei qui a correre mentre mia figlia si allena. A me piace così.

Poco tempo fa è venuta a correre qui Sara Brogiato, una ragazza fantastica. Lei è in aeronautica militare, lo capisco. Ma io sto bene così. Qui ho il supporto di tantissimi amici come René Cuneaz (mentre noi parliamo sta girando in bici qui intorno), di mio marito, mi alleno sola, ma non sono mai sola.

Come è nata la tua carriera atletica? Hai sempre pensato di diventare un’atleta? Come si è conciliato con il tuo sogno di fare il medico?

Ho sempre fatto sport, ma non ho mai pensato di diventare qualcuno. Ho iniziato con l’atletica a 14 anni e anche con discreti risultati, ma mai così brillanti da farmi illudere. Con gli anni sono passata al mezzofondo, dagli 800 ai 1500. Avrei anche corso distanze più lunghe, ma al tempo non si facevano. Ero forte, ma ero una delle tante.

Al secondo anno di università, tra allenamenti e studio sono arrivata a pesare 42kg. E ho dovuto scegliere. Ho scelto lo studio, lasciando alla corsa uno spazio più ludico.

Al terzo anno di medicina ho fatto una scommessa: se avessi passato tutti gli esami avrei corso la maratona.

E così fu. Era il 1994 quando corsi la mia prima maratona, la Maratona di Torino, in 3h34minuti.

Era un gioco che mi piaceva e ho continuato, senza però mai pensare alla Nazionale.

In realtà in Nazionale entrai per la Corsa in Montagna. Era un periodo che correvo in montagna a causa di un infortunio al piriforme. Mi chiesero di fare i Campionati Mondiali. Mi vollero in Nazionale e mica si può dir di no alla Nazionale!

Quando ci furono le qualificazioni per le Olimpiadi, semplicemente ci provai. Dovevo fare meno di 2h30minuti, potevo azzardare. Corsi la maratona di Rotterdam 2016 in 2h30minuti19secondi.

Le polemiche a seguire le conosciamo, ma alla fine a Rio ci sono andata.

A 44 anni ho corso la mia prima Maratona Olimpica.

Cosa significa per te la Maratona? Cosa provi correndo la Maratona?

Amore infinito.

Io amo la Maratona, è la gara più bella che c’è. Ma non mi piace solo la gara, io fremo dalla voglia di iniziare la preparazione, non vedo l’ora, mi piace da impazzire.

Quasi mi sento dispiaciuta il giorno della gara, perchè so che quel giorno coincide con la fine degli allenamenti.


Quando dice questo capisco una cosa importante. Tolta la velocità, la dote, il fisico asciutto, io e Catherine siamo uguali. E qui qualche malpensante avrà da obiettare, ma è la verità. Dietro alle nostre vite diverse, dietro ai fisici diversi, dietro a quello che si può vedere, la passione per questa fantastica, unica, meravigliosa gara è la medesima. E siamo uguali tutti noi che la amiamo, anche senza avere le doti di Catherine, per questo dobbiamo poter sognare. Dobbiamo pretendere di poter sognare la Maratona.

Essere Maratoneti, in qualsiasi tempo si corra la Maratona, sta tutto dentro questo amore. Come lei anche io adoro iniziare ad allenarmi, il giorno della gara sono felice di una felicità totalizzante. Il cuore è allegro, pieno d’amore.

Essere Maratoneti non è una questione (solo) di tempo. E’ una questione di amore infinito verso questa gara magnifica.

La Maratona è puro amore. Felicità. Fortuna.

Qualche foto, mi faccio autografare il libro Donne Come Noi, la saluto. Mi spiace lasciarla. Iniziavo a sentirmi proprio bene. Potessi andrei a correre con lei il suo allenamento di domani, Il VariaBertone, un lungo variato tostissimo che lei correrà come una saetta.

“Ciao Carlotta, in bocca al lupo per Berlino!” 

“Ciao Catherine, idem”

Lei agli Europei il 12 agosto e io alla Berlin Marathon il 16 settembre.

Due maratonete come tutti noi.

Mi sono dimenticata di chiederle quanto vorrebbe fare. Pazienza, lo saprò guardandola, ma per me ha già vinto.

 

RunningCharlotte
RunningCharlotte
Perché la corsa è uno stile di vita e ad ogni passo ci fa crescere un po’ e perché non bisogna essere campioni per correre, basta mettere un passo dietro l’altro. Keep in running.
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