La mia Milano Linate Night Run: arrivare con 12 secondi di ritardo non è mai stato così bello

In Eventi

Devo provare a vincere. Devo provare ad avere la testa giusta. Devo crederci.

Lo so, sono una runner imbruttita, ma ho voglia di provare a vincere. Ho voglia anche di riuscirci, ma soprattutto di convincermi che posso farlo.

La Milano Linate Night Run è una gara speciale.

Era la prima edizione ed è fenomenale pensare di correre, al buio, sulla pista di un aeroporto.

L’asfalto è perfettamente liscio, deve essere. Le luci sono in lontananza, ma al secondo chilometro già la lontananza è tanta e la pista viene inghiottita da un buio magico.

Ho scelto questa gara per la bellezza e l’emozione, unica, di correre sulla pista di atterraggio milanese, di fare un check-in vero per entrare, di essere insieme con altri 2000 runner dentro un’occasione mai avuta prima.

L’ESCLUSIVA è sempre una caratteristica piacevole.

Però volevo vincere.

Ora lo dico, volevo vincere. Non sono andata per partecipare, ma per scrollarmi di dosso questi ultimi anni di quarti posti e “serie B”. Un marchio che non mi piace. Volevo brillare.

Forse pecco di arroganza, forse sì. Ma non mi importa nulla, volevo vincere.

E ci sono quasi riuscita.

Ora vi racconto la mia Milano Linate Night Run.

L’atmosfera è allegra. Mi salutano in tanti, ma o sono concentrata e sembro antipatica.

Voglio correre.

Passiamo i controlli e mi scordo il mio shampo Phytoplage (che forse sarebbe meglio in spiaggia, ma ha un profumo al quale sono affezionata) in borsa. Mentre il poliziotto me lo sequestra perchè decisamente fuori misura, incontro Filippo Manucci, l’AD Lierac e Phyto, che mi vede mentre saluto il mio (suo) shampoo. Ride e si ferma con noi (sono con le nonplusultra dei blog di running LACri e LAManu).

Loro sono “dégagées” detto alla francese. Io sto mentalmente dialogando con i miei muscoli.

Rischio di parere autistica, ma parlo con piedi e gambe, sento crescere l’energia.

Alla partenza mancano due ore.

Mi cambio, mi scaldo, tento di focalizzare l’obiettivo: vincere. Come una vera imbruttita guardo le altre donne e cerco di capre chi può andare forte. Ma non conosco nessuna, quindi non ho che da fare la gara su di me.

Parto avanti. Parto forte. Ricerco la concentrazione e il respiro.

So di non essere umile, ma in questi dieci chilometri lascio l’umiltà per il terzo tempo.

Voglio vincere.

Le gambe girano. Lasciamo indietro le luci dell’aeroporto. Regna un silenzio surreale. Magnifico. Un nero profondo. Non conosco nessuno.

Mi sento sola nel modo più bello e affascinante di sempre. I piedi rimangono flessibili e forti. Respiro e mi rilasso.

Sto bene.

Sono prima.

Al secondo chilometro da dietro arriva Filippo. Oramai Filippo è una costante. E’ più veloce e più audace di me. Se alla Lierac Beauty Run l’ho lasciato andare, qui lo tengo davanti a me dieci metri.

E non lo mollo.

Sono prima. Sto vincendo.

Al quinto chilometro giro poco più dei 4’ al chilometro.

Al settimo sbaglio.

So che tra poco arriva il rettilineo finale.

E rallento.

Nella mia testa mi riposo per poi aumentare.

E lei mi raggiunge.

Corro non uno, ma due chilometri sotto ritmo. La testa si riposa prima e si stressa poi, quando la sento dietro all’ottavo chilometro.

Ho sognato la vittoria. L’ho voluta. Ma inizio a pensare al secondo posto.

Più ci penso e più lei si avvicina.

Al nono chilometro mi affianca.

E mi passa.

E’ giovane e ne ha. Mi lascia indietro prima dieci metri, poi venti.

E succede quello che non deve succedere, ma che viene dal mio passato da non vincente: la testa si accontenta del econdo gradino.

Arrivo seconda, 12 secondi dopo la prima.

L’ultimo chilometro lo tiro, ma non abbastanza.

Sfuma così la mia voglia di tagliare lo striscione dell’arrivo.

Ma io mi sento che ho vinto.

La verità è che io ho sempre avuto una testa da perdente. Ho sempre pensato “tanto se arrivo quarta è uguale” – “è solo un gioco” – “l’importante è essere qui”.

Tutto vero, perfetto, intoccabile. Ma tutto questo nasconde la mia incapacità di sentirmi PRIMA. Essere vincenti è un concetto che subisco con un certo senso di colpa. Non so se sono gli ultimi anni o se sono così da sempre, ma mi pongo sempre come Serie B. Mi nascondo, non accetto facilmente i complimenti.

Invece per nove chilometri sono stata DAVANTI. Sono stata prima.

Ci voleva essere prima, questa volta, per poterlo essere sempre.

Complimenti alla vincitrice, più forte, più giovane e forse più tenace.

Io però ho vinto un’esperienza fondamentale per me.

A testa alta.

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