Reebok Ragnar Relay, parte seconda: le Persone

Ed eccomi al secondo articolo dedicato alla Ragnar, gara a staffetta che mi ha rapito gambe e cuore nell’ultimo weekend (se non hai letto il primo articolo sull’evento, leggilo qui subito!).

Appena finita la gara, mangiando panini al sole di st. Peter Ording, Mare del Nord, Germania, non avevo chiara la sensazione di “tesoro nascosto” che ho oggi.

Siamo partiti in 10 per questa avventura, siamo tornati in 10, ma siamo tornati un po’ più grandi, un po’ diversi.

Io sono una runner solitaria. Della corsa amo soprattutto la sensazione di libertà e di indipendenza, di solitudine in cui bearmi, di silenzio interiore. Mi disturbano le gare chiassose, prima delle partenze il mio silenzio è snervato, mi concentro solo su me stessa, sui miei piedi. Conto ogni dito, prima a destra, poi del piede sinistro. Focalizzo l’energia dalle mani, dalla nuca, dal petto alle gambe.

Adoro pensare a me, solo a me, mentre corro. Correre è il mio modo di dedicarmi delle attenzioni speciali.

C’è chi va dal parrucchiere, chi fa shopping, chi si riserva un massaggio. Io per prendermi un momento tutto mio corro.

Correre in staffetta esce dai miei schemi.

Per correre in team io sono dovuta uscire dalla mia zona di comfort. Ed è stato bellissimo.

La Ragnar Relay è un’esperienza che ci fa uscire dalle nostre abitudini e sperimentare qualcosa di diverso. C’è chi ha sperimentato la corsa in notturna. Io avevo già corso la notte. C’è chi ha sperimentato un chilometraggio più lungo. Per me 30km in 24 ore sono la normalità. C’è chi ha vinto la paura del buio, chi il sonno.

Io non avevo nessuna di queste ansie.

Io erano anni che correvo colo per me stessa, Garmin alla mano. Cuore in gola.

Sono uscita dalla mia zona di comfort nel momento in cui ho preso il testimone dalla mano di Manuela e l’ho portato alla mano – facendolo cadere – di Irene.

Sono uscita dalla mia zona di comfort nell’istante in cui ho taciuto la mia sicurezza nell’affrontare la notte per comprendere le paure degli altri. Sono uscita dalla mia zona di comfort comprendendo la fatica – e la gioia – di Robi nel correre 12 km a 5’15”/km.

Sono uscita dalla mia zona di comfort nel momento in cui ho messo le mie gambe a disposizione dell’ingranaggio – perfetto – della Ragnar.

Perchè la Ragnar è fatta dalle persone, più che dai chilometri, più che dai luoghi, più che dai muscoli.

Ed è così che al sole della spiaggia di St.Peter Ording ho messo a riposo la mente, lasciando spazio al cuore.

E ho ripensato agli attimi importanti di queste ventiquattro ore insieme.

Il sorriso volutamente esasperato di Alessandra in partenza. Alessandra che da neo-runner si è fatta capitano di una squadra di persone, vestendosi della divisa da donne forte e spavalda che un capitano deve avere. Alessandra che ha nascosto le sue ansie in una lunga serie di risate. Alessandra che ha guidato al prima volta il van con il cambio automatico come avrebbe tenuto in mano il timo della nave ammiraglia.

I capelli rossi di Manu, onnipresenti appena il sole bucava le nubi. Quasi fluorescenti. Esuberanti. Incredibili. Nascosti nel cappuccio sotto la pioggia, legati a scoprire le orecchie che si vedono raramente tra i ricci.

Manuela dissimula nella sua chioma audace la timidezza e l’educazione mite della ragazza di Milano. Eppure, tra un riccio e l’altro traspaiono i timori e le ansie cittadine, adorabili nella loro incredibile femminilità. Credo di aver conosciuto raramente un esempio tanto gentilesco. Manuela è un’immagine Pre-Raffaelita, delicata, timorosa e gentile.

Guardarla correre nel buio, densa di paure, vederla affrontare le ansie con determinazione e posato timore l’ha resa così umana agli occhi della mia osservazione da scatenare in me un senso di protezione.

E poi Irene. Irene che non conosco affatto e che, come ogni persona che non conosco, rappresenta per me, introversa montagnina, uno scoglio in mare. Irene dagli occhi verde chiaro, larghi nel volto minuto. Irene corre così naturalmente che mi ritrovo ad invidiarle la facilità di movimento.

Irene che nasconde dietro alle pozze larghe degli occhi, l’animo di una guerriera. Irene che si mette alla guida del van come se stesse salendo su un ottovolante. Irene così minuta e così forte, sembra uno di quei fuochi artificiali che esplodono in fontane multicolor.

Irene che secondo me non si lascerà scappare la maratona di Bilbao, perchè i 42km li ha dentro, anche se forse ancora non lo sa.

E Roberto, unico uomo del van. Roberto che non conoscevo affatto, ma che ha quella capacità di pochi di entrare in sintonia con tutti. Roberto corre perchè gli piace, si vede anche quando lo dissimula dietro ad operazioni ed infortuni che vorrebbe correre un’altra maratona. Si vede soprattutto quando dice “il medico mi ha vietato di correrne un’altra”.

Roberto è quel genere di maschio dalle spalle larghe e accoglie ogni nostra lamentela con l’aria palcida di chi qualsiasi cosa accada è tranquillo. Quando arriva dopo la prima frazione ha la felicità di un bambino negli occhi e a St. Peter la sua soddisfazione epr aver completato la staffetta è palpabile.

Amo le persone che sanno entusiasmarsi per ciò che fanno. Hanno un’energia che alle volte a me manca.

E poi ci sono io. Io che non so mai che ruolo avere nei gruppi, io che ragiono alle volte da outsider e temo costantemente di apparire saccente. Io che non ho nessuna paura di questa gara. Io che ho già una strategia di tempi-chilometri-modi per affrontare le tre tappe. Io che decido ogni cosa a tavolino e non riesco a lasciarmi andare mai, se non da sola.

Io che finalmente nella frazione di notte mi lascio andare, mentre la gioia mi invade come la lava di un vulcano.

Io che mi esalto nel gesto, per me insostituibile, della corsa.

Io che solitamente nei gruppi non riesco a stare. Io che invece ora mi ritrovo qui da sola e sento quanto mi manca quella condivisione.

Ed è qui che capisco il senso della Ragnar. 

Il senso profondo del claim di Reebok “Be More Human”.

E’ qui che capisco quanto sono umana nei miei difetti e quanto questi siano superabili, accettabili.

Io che seduta su queste panchine al sole del Mare del Nord mi guardo e sorrido. Riflessa negli occhi del team variegato di questa gara. Un team che nelle sue differenze ha trovato l’unione e l’unicità.

 

RunningCharlotte
RunningCharlotte
Perché la corsa è uno stile di vita e ad ogni passo ci fa crescere un po’ e perché non bisogna essere campioni per correre, basta mettere un passo dietro l’altro. Keep in running.
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Showing 3 comments
  • Pietro
    Rispondi

    Una delle cose piu belle sulla corsa mai lette. Grazie Carlotta, grazie a tutto il vostro team!

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