RunningGreekCharlotte: Kephalonia

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Finalmente Grecia. Ero già presa dallo sconforto causa tamarri muscolosi e conseguente distruzione della poesia Foscoliana, che onestamente non mi aspettavo di trovare più la Grecia di Salvatores.
Nave giunta all’inesistente porto di Pasada alle ore 21.30. Malgrado i numerosi taxi appostati come avvoltoi per portare la gente fuori dal buio nulla dell’attracco, non abbiamo minimamente pensato che quel nulla fosse veramente nulla e che dietro ci fosse altro nulla. Cefalonia è l’isola del NIENTE. Finalmente.
Ulivi.
Muretti a secco.
Capire.
Scorci.
Porticcioli.
E soprattutto spiagge. Quelle greche per davvero.
Mare e corsa. E sole.
Solo un dettaglio ti riporta alla realtà: in questo incanto di nulla l’eccidio di Cefalonia lo senti ancora. Nell’aria respiri ancora un po’ di quel sangue versato inutilmente, quel sangue che doveva scorrere nelle vene degli Italiani che festeggiavano l’armistizio. Di quegli Italiani che finalmente avrebbero dovuto tornare.
In modo quasi beffardo, l’unico che mi viene in mente è D’Annunzio.

Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove sui pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t’illuse, che oggi m’illude,
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